DIARIO DI RESIDENZA: IL PAESE DELLE MERAVIGLIE - Circuito CLAPS

DIARIO DI RESIDENZA: IL PAESE DELLE MERAVIGLIE

Di Chiara Callegari e Simone Luglio

Questa è una storia vera.

Marta ha 64 anni e da qualche mese la sua casa è diventata un luogo magico.
Le stanze cambiano posizione, il tempo scorre in modo anomalo, le persone attorno a lei ogni tanto impazziscono e dicono cose davvero assurde, e lei stessa a volte è grande e altre volte è piccola.

Come Alice, anche lei un giorno è caduta in un buco nero, che ha inghiottito chi era, dove stava andando, cosa ci faceva lì. Disorientamento totale.
Da quel buco purtroppo non è possibile uscire, e allora l’unica cosa da fare è accettare il buio e organizzarsi.

La malattia di Alzheimer è una patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo, caratterizzata da un processo degenerativo che distrugge le cellule del cervello, causando un deterioramento irreversibile delle funzioni cognitive (memoria, orientamento spaziale e temporale, ragionamento e linguaggio), fino a compromettere l’autonomia e la capacità di compiere le normali attività giornaliere.

La causa all’origine dell’Alzheimer sembrerebbe essere legata a una proteina, detta APP che, per ragioni ancora non conosciute, a un certo punto nella vita di alcune persone inizia a venire metabolizzata in modo alterato portando alla formazione di una sostanza neurotossica – la beta amiloide – che si accumula lentamente nel cervello, che a poco a poco si accartoccia, portando a morte neuronale progressiva.

Solo in Italia, oltre 600.000 persone sono malate di Alzheimer e si prevede che entro il 2030, nel mondo 75 milioni di persone saranno affette da demenza.

Tutto questo Marta non lo sa, come non sa che circa un anno fa le è stato diagnosticata la sindrome precoce di Alzheimer. E nessuno intorno a lei ha intenzione di dirglielo, ma anzi tutti hanno assunto un ruolo in questa sua fiaba. C’è il marito-Coniglio Bianco, che le fa da guida in quel labirinto che è diventata la loro casa e cerca di domare il tempo con il suo orologio; ci sono i Cappellai Matti e le Lepri Marzoline, che attendono con lei impazienti l’ora del tè al centro diurno; i due pupazzi-gemelli che stringe quando è spaventa perché nulla sembra aver senso; le gelose regine rosse; le protettive regine bianche; le danze popolari; i gatti; i fiorellini che cantano buonanotte.
Sono entrata anch’io in questa fiaba, perché questa Alice è la mia mamma. E dopo aver urlato, pianto, maledetto il mondo intero ho deciso di accettare l’ignoto e giocare con lei.
Da un anno la fotografo e la riprendo, la registro leggere e cantare, mi faccio insegnare le ricette che ricorda e i passi delle danze perché chissà domani come sarà. Lei si diverte. E quando le ho confidato che mi sarebbe piaciuto un giorno fare uno spettacolo su di lei mi ha riposto ridendo: “Ma perché mai?”
Perché l’Alzheimer è una delle più brutte malattie che esistano, perché trasforma la persona e la fa spegnere a poco a poco, inesorabilmente, qualunque cosa tu cerchi di fare. Perché al momento non esiste una cura dato che nessuno investe nella ricerca per una malattia che si crede colpisca solo i vecchi, ignorando che qualche mese fa invece è stata diagnosticata anche a un ragazzo di 17 anni. Perché per mesi mi sono vergognata di dire persino ai miei amici che tu non stavi bene, perché temevo che ti avrebbero guardata con occhi diversi, senza sapere che il problema è proprio che non se ne parla abbastanza. Perché mi sento impotente e arrabbiata e ho bisogno di usare l’unico strumento che ho per sentire che posso essere utile in qualche modo.
Questo avrei voluto dirle, ma l’avrei spaventata inutilmente e così ho scelto di risponderle: “Perché da sempre si scrivono libri, poesie, si fanno dipinti e spettacoli dedicati alle persone a cui si vuole bene”. Lei ha sorriso, “Tu sei tutta matta!”, mi ha detto.

IL PROGETTO

Il romanzo di Lewis Carroll diventerà lo spunto per una riscrittura, i cui ingredienti saranno il viaggio, l’assurdo, l’ironica follia e il temporaneo senso di spaesamento. Un vero e proprio viaggio nella mente di un malato di Alzheimer.
Rifuggendo la tendenza pietistica con il quale questi temi vengono solitamente trattati, il teatro, la musica e l’arte in generale diventeranno gli strumenti per svelarne anche il lato poetico, romantico, ironico… Perché a casa mia si ride un sacco, ma si ride insieme. E questo lavoro nasce proprio dal bisogno di creare una comunità, uno spazio di incontro e racconto, per non sentirsi più soli.
Quello che immagino è uno spettacolo che prende spunto dalla mia esperienza e da quella delle persone che incontrerò durante la residenza, per crearne una storia magica, capace di parlare a più livelli a tutti: a chi di Alzheimer non sa nulla e neppure gli interessa tanto, a chi è vicino a persone malate e chi la demenza ce l’ha, che deve poter venire a teatro e sentirsi accolto.
Per far questo lavoreremo su molteplici livelli, mescolando più linguaggi: la parola, il materiale sonoro che ho raccolto nel tempo (le canzoni canticchiate da mia mamma, la sua voce mentre legge di stralci del romanzo di Carroll…), i giochi d’ombra, la manipolazione di oggetti di uso quotidiano che illuminati o combinati in modo particolare si trasformeranno in aspetto e dimensione; e infine il video, a sprazzi di realtà nel mondo delle meraviglie (video interviste, dati, immagini di realtà…).
Un gioco tra realtà e finzione. Un viaggio che inizia nel momento in cui lo spettatore accetta di sospendere il giudizio e accogliere l’assurdo, scivolando nel buco nero e rivivendo l’esperienza della nostra Alice. Per sfuggire alla realtà che spaventa si costruisce a poco a poco un modo nuovo, in cui le cose cambiano aspetto, i ruoli si invertono e si scombinano le regole sociali. Un mondo di meravigliosa follia, in cui all’improvviso entrano violenti e destabilizzanti spaccati di realtà (vediamo gli oggetti per quello che sono, persone in video cercano di spiegare in maniera fredda e oggettiva quello che sta accadendo). Ma se la realtà fa male, nulla ci vieta di smettere di ascoltarli e rituffarci nel meraviglioso.
In questo viaggio, il pubblico non resterà passivo, ma saranno previsti drammaturgicamente dei momenti di libertà in cui potrà intervenire, urlare o alzarsi in piedi e ballare. Tutto con una sola regola: non nominare mai la parola Alzheimer.
Così come accaduto a tanti altri, la più grande paura di mia mamma, appena sono apparsi i primi sintomi è stata quella di essere ammalata. In casa mia pertanto non si nomina mai la malattia e abbiamo attivato ogni strategia per tutelarla e non farle pesare la situazione. Lo stesso deve fare questo spettacolo. Deve essere uno scossone, un abbraccio o un momento di puro divertimento, in base ai bisogni e alla condizione di ogni singolo spettatore.

Durante le 5 settimane di residenza offerte dal Bando Intercettazione del Circuito Claps Lombardia, sono previsti momenti di apertura e incontro con l’esterno:

  • Video – interviste
    Fermarsi a parlare con le persone diventa l’occasione per capire quali sono le conoscenze, le false credenze e i pregiudizi che circondano la malattia.
  • Incontro di approfondimento con neurologi, psicologhi e associazioni.
    Per passare dai preconcetti a una conoscenza più approfondita. Questo momento di incontro con gli esperti potrebbe deve diventare anche l’occasione di creare rete tra realtà che lavorano sul campo.
  • Laboratorio su Alice nel Paese delle Meraviglie con i caregiver.
    Una giornata di laboratorio teatrale a partire dal romanzo di Carroll, rivolto ai caregiver, cioè a coloro che si prendono cura del malato, diventa l’occasione per raccogliere esperienze e spunti drammaturgici.
  • La grande festa di Non Compleanno.
    In collaborazione con le associazioni, organizzare un pomeriggio di festa tutti insieme. Il tema sarà quello della Festa di non-compleanno, con merenda, giochi e balli, che diventerà lo spunto per la Festa dello spettacolo.
  • I primi spettatori
    Nell’ultimo periodo di residenza si prevede una prova aperta a tutte le persone che ci hanno accompagnati nel lavoro, per mettere alla prova il lavoro di fronte a un pubblico di esperti.

DIARIO DI RESIDENZA

14-21 settembre 2023
RESIDENZA LAAGAM – Piateda (SO)

Prima residenza.

Un bosco, un prato e una casa di pietra ci hanno accolti per la nostra prima settimana di residenza. Un posto isolato e un po’ magico, in cui iniziare a leggere, riflettere e immergersi completamente nelle parole di Lewis Carroll.

Gli ingredienti c’erano tutti:

  • Un prato in cui leggere, esattamente come quello in cui all’inizio dell’opera Alice legge insieme alla sorella;
  • Il buio più profondo che avessimo mai visto. Appena calava il sole non si vedeva davvero più nulla, si perdeva l’orientamento e per spostarci era necessario armarsi di torcia. Nel buio però abbiamo notato i nostri altri sensi acuirsi, esattamente come può succedere ai malati di Alzheimer che suppliscono alle loro carenze potenziando udito, olfatto o vista.
  • Un bosco in cui perdersi, provare paura e sperimentare vie alternative;
  • Animali quasi parlanti (scoiattoli, salamandre, Patato, il cane della residenza non molto amante degli esseri umani…);
  • Una comunità accogliente e desiderosa di conoscerci e farsi conoscere;
  • Incontri che si sono trasformate in amicizie.

Ci siamo così ritrovati ad essere Alice e il piccolo borgo di Castellaccio è diventato il nostro Paese delle Meraviglie.

Oltre a far risuonare in noi le parole di Carroll, durante questa prima settimana abbiamo scelto di incontrare persone di diverse età che non avessero alcun rapporto con l’Alzheimer per capire quale sia la conoscenza generale sulla malattia, i preconcetti e i pregiudizi che la circondano.

Abbiamo così scoperto che nessuno sa come si scrive “Alzheimer” (tutti sanno che c’è un “h” ma chissà dove!).
Un altro aspetto interessante è stato notare come le differenti generazioni manifestino un diverso approccio e interesse nei confronti del tema:

  • Per gli anziani l’Alzheimer è una paura effettiva. Appena capito di cosa si stava parlando a più d’uno si sono velati gli occhi e in alcuni casi abbiamo preferito tralasciare le domande più dirette per non turbarli ulteriormente;
  • La maggior parte degli adulti hanno conoscenza della malattia dovuta all’esperienza di persone vicine a loro, ma c’è sempre la tendenza a considerare l’Alzheimer come un problema legato all’età più avanzata, mentre si ignora quasi totalmente l’esistenza dell’Alzheimer precoce;
  • Per i giovani l’Alzheimer è qualcosa di distante: non lo conoscono e non li riguarda, e spesso ne hanno una visione quasi “positiva” [“che figo, mi dimentico tutto così non ho più pensieri”]

Abbiamo terminato la prima residenza senza la più pallida idea di che strada potesse prendere il nostro lavoro e circondati da eventi, spettacoli e iniziative sul tema, perché settembre è il mese dell’Alzheimer. Ci siamo così buttati a capofitto, abbiamo partecipato a tutto, e ogni volta ne uscivamo con un senso di forte disagio e fastidio, che rischiava di allontanarci invece che coinvolgerci empaticamente. Cosa che purtroppo spesso capita quando si tratta il tema della malattia.
Eravamo ancora più in crisi.

Non immaginavamo che il tema fosse così gettonato.
E allora che senso ha fare un altro spettacolo se ce ne sono già tanti?

Quello che avevamo visto non ci era piaciuto.
È davvero difficile fare uno spettacolo bello che parli di malattia.
Forse ci siamo posti un obiettivo troppo ambizioso. Forse anche noi rischiamo di scadere nel banale, nel già visto, nello stucchevole….

Non sappiamo che forma precisa dare al nostro spettacolo, però è vero che siamo solo all’inizio, dobbiamo prenderci il tempo per capirlo e allora nella gran confusione, ci siamo però fermati a mettere nero su bianco e ad ordinare per lo meno i nostri grandi “No”:

  • No a uno spettacolo che si rivolge esclusivamente ad anziani, caregiver, familiari o operatori sanitari;
  • No a pietismo, no a uno spettacolo tragico e senza speranza;
  • No a dare troppo peso al tema, che rischia di schiacciare e annullare l’aspetto artistico.

Questo è quello che non vogliamo, quello che vogliamo abbiamo tempo per capirlo.


20-27 ottobre 2027
RESIDENZA CIRCUITO CLAPS, BRESCIA

Seconda residenza.

Un quartiere residenziale. Case, parrucchieri (come mai così tanti parrucchieri?), un negozio con un coniglio nell’insegna, un parco giochi con un tappeto elastico che ti fa fare salti altissimi anche sotto la pioggia, la pizzeria da Nicola, il Poke hawaiano.
Una ex scuola trasformata in centro di creazione artistica. Un ufficio dinamico dai mille progetti che è anche una grande famiglia. Sale con corsi di yoga, pilates, teatro, circo… il pomeriggio è un via vai di persone di tutte le età, risate, sorrisi, c’è chi negli spogliatoi si trucca per Halloween.

Dall’isolamento quasi ascetico di Piateda passiamo uno spazio iper-vitale.

Divisi tra tavolino e sala prove, in questa seconda settimana ci siamo concentrati sull’analisi del testo di Carroll attraverso la lente dell’Alzheimer. L’obiettivo era individuare nel funzionamento di ogni scena possibili riferimenti alla vita del malato.
Sarà che noi siamo ormai immersi in questo mondo, ma tutto ci risuonava perfettamente.
“Ecco, vedi, le battute di Alice mentre cade nel buco nero ripercorrono esattamente le fasi del decadimento cognitivo; in questa scena non riconosce casa sua; qui il Bruco le sta facendo il test diagnostico…”
Sembrava che Carroll avesse scritto proprio per noi.

Per evitare abbagli o inesattezze scientifiche ci siamo consultati con gli esperti del settore:
la dott.ssa Monica Almici, psicologa dell’Unità di Neuroimmagine ed Epidemiologia IRCC – San Giovanni di Dio – Fatebenefratelli di Brescia;
il dott. Salvatore Caratozzolo, neurologo, Referente del Centro Alzheimer degli Ospedali Civili di Brescia;
la dott.ssa Barbara Vicini, neurologa presso l’USC Neurologia ASST Papa Giovanni XXIII di Brescia.

Quello che è emerso da questi incontri è la nostra sensazione era giusta e che il testo di Carroll è incredibilmente corretto per quanto riguarda:

  • Le fasi del decadimento cognitivo (vedi scena della caduta nel pozzo)
  • Le emozioni che vive il malato (Alice si vergogna e si dispera per non sapere o saper fare cose che prima sapeva e faceva)
  • Le cure farmacologiche (bottiglietta e dolcino hanno gli stessi effetti di Antipsicotici e Antidepressivi)
  • Le disfunzioni percettive relative a spazio e tempo
  • Il bisogno di vagabondare e infilarsi in tutte le porte (Wandering)
  • Il modo di rapportarsi con gli altri (tutti i personaggi sono agli occhi di Alice un po’ matti)
  • La tendenza ad accogliere l’assurdo
  • Il rapportarsi delle altre persone con il malato (C’è chi ha paura e scappa come il Coniglio, chi le dà forza e l’aiuta ad accettare la situazione come il Topo)
  • Il bisogno di creare comunità
    Proseguendo il lavoro di intervista, abbiamo avuto l’occasione di incontrare i partecipanti del corso di yoga che si tiene presso Spazio Danzarte. Con loro ci siamo concentrati principalmente sul tema della casa (così importante sia in Alice che per il malato di Alzheimer).

Alcune delle domande poste sono state:

  • Qual è la prima casa in cui hai vissuto?
  • Qual è il tuo primo ricordo in quella casa?
  • Quanto dista la tua prima casa dalla casa in cui abiti ora?
  • In casa tua porte aperte o chiuse?
  • Cosa vedi se spii dal buco della serratura?
  • Parli con gli oggetti in casa?
  • Che odore ha la tua casa?
  • Hai orologi in casa?
  • Succedono cose strane in casa tua?

Ci ha stupiti vedere come queste domande, in apparenza innocue, attivassero negli intervistati ricordi e processi emotivi molto forti.
La casa è argomento davvero importante per il malato di Alzheimer. Il malato spesso non riconosce casa sua, vuole tornare a casa, esce e cammina perdendosi perché deve tornare a casa e l’unica che riconosce come propria è la casa dell’infanzia. È lì che la sua memoria emotiva colloca i ricordi più cari e importanti. È lì che si è sentito protetto e amato, lì tutto era chiaro, lì era al sicuro, prima di “perdersi nel bosco”.

I momenti di studio e incontro si alternano a momenti in sala, in cui lavoriamo in improvvisazione su temi prestabiliti, anche “aprendo” e allontanandoci da Alice.

Anche lo spazio attorno a noi ci parla e ci stimola: Porta, Orologio, Specchio.

Nel frattempo ci divertiamo ad immaginare con quali sistemi scenici si possono rendere le scene più magiche: dalla caduta nel pozzo, alle trasformazioni di dimensione.

Ci siamo resi conto che il testo di Alice nel Paese delle Meraviglie è la nostra arma vincente; l’ingrediente che può permetterci di raccontare il mondo del malato di Alzheimer salvandoci dai nostri “No” e una lente che entusiasma tutte le persone a cui raccontiamo del progetto, medici ed esperti compresi.
Stiamo raccontando sempre più spesso e stiamo diventando bravi a farlo.
Le persone si emozionano mentre raccontiamo come è nata l’idea, si incuriosiscono quando spieghiamo cos’è una residenza e come stiamo lavorando, ridono dei nostri racconti, e molto spesso ci confidano che anche loro hanno una mamma/un papà/un amico che soffre di una forma di demenza e sentire la nostra storia li fa stare bene e sentire meno soli.
Allora forse è questo che potremmo fare, raccontare di noi, di Alice e di noi che cerchiamo di fare uno spettacolo che parli di Alzheimer senza parlare di Alzheimer, dei nostri dubbi, delle esperienze anche assurde che stiamo facendo, accettando tutto quello che arriva, esattamente come fa il malato, esattamente come ha fatto Carroll che per scrivere il suo romanzo si è ispirato alle esperienze vissute insieme alla piccola Alice Liddell.

giovedì 09 Novembre 2023
Tag: INTERCETTAZIONI (14)